Storico e giurista tedesco. Compiuti gli studi di Teologia e di Diritto a
Lipsia, fu assunto dall'ambasciatore svedese in Danimarca come precettore; a
Copenaghen, durante la prima guerra del Nord, fu arrestato (1058) e tenuto in
carcere per alcuni mesi. Fu proprio in quel periodo che
P. si
accostò all'opera di Grozio e Hobbes, aderendo alle tesi del
Giusnaturalismo, che contribuì a divulgare in qualità di
professore di Diritto naturale e delle genti all'università di Heidelberg
(1661). Nel 1667, a Parigi, sotto lo pseudonimo di Severinus de Monzambano,
pubblicò il
De statu Imperii Germanici, contenente una vigorosa
critica dell'Impero; le polemiche suscitate da quest'opera lo costrinsero ad
abbandonare la Germania per rifugiarsi a Lund in Svezia. Fu qui che nel 1672
diede alle stampe la sua opera principale il
De iure naturali et gentium.
P. passò quindi a Stoccolma, dove assunse la carica di storiografo
regio e consigliere di Stato. Nel 1694 ricevette dal re di Svezia il titolo di
barone, anche se già dal 1686 aveva lasciato la Svezia, per ricoprire
l'incarico di consigliere di Federico Guglielmo di Hohenzollern a Berlino.
Portavoce delle esigenze laiche e razionaliste dell'Europa del suo tempo,
P. seppe sviluppare con rigore e sistematicità le tesi
giusnaturalistiche. Egli concepisce il diritto come scienza rigorosamente
deduttiva, basata esclusivamente sulla
recta ratio, cui deve rimanere
estraneo ogni ricorso all'induzione. Secondo
P., già nello stato
di natura esistono forme associative, caratterizzate dall'eguaglianza e
dall'assenza di autorità; fondamento della legge naturale è, come
per Grozio, il bisogno che l'uomo ha, essendo un essere naturalmente egoista e
debole, di vivere in società coi suoi simili. Tuttavia, poiché lo
stato di natura, regolato dalle sole leggi naturali, è insufficiente a
garantire la pace e la stabilità sociale, gli uomini sentono la
necessità di fondare un ordine più stabile, basato sullo stato
civile. Ciò è reso possibile tramite due patti distinti: il
pactum unionis, tramite cui gli individui stabiliscono di unirsi
fra loro e fondare un'unica società di pari; e il
pactum
subiectionis, con il quale viene attribuito il potere a un sovrano. Pur
risultando dalla libera volontà associativa degli individui e limitato
dalle norme del patto, il potere statuale è, secondo
P.,
indivisibile e inalienabile; in tal modo il contrattualismo di
P. si
avvicina alla concezione assolutistica dello Stato di Hobbes. Le leggi positive
non possono essere in contrasto con quelle naturali, anche se talvolta lo Stato
può, per motivi di sicurezza, sospenderne o modificarne le norme, senza
per questo contravvenire alla sua natura e alla sua funzione. Particolare
rilievo ha nel pensiero di
P. l'idea dell'autonomia del diritto naturale
rispetto alla religione; è infatti il primo che regola le azioni di tutti
gli uomini, indipendentemente dalla loro fede religiosa. In modo analogo vengono
definiti i rapporti tra diritto e morale: nel primo il carattere essenziale
è la coattività della sanzione derivante dalla mancata osservanza
della norma giuridica; mentre nella morale non vi è coazione, e il
rispetto della norma è materia che attiene esclusivamente alla coscienza
individuale. In Italia l'opera di P. ebbe grande diffusione a partire dalla
seconda metà del Settecento e fu oggetto di aspre critiche da parte di
G.B. Vico, che l'accusò di dogmatismo e mancanza di senso storico. Tra le
sue numerose pubblicazioni di carattere storico e di varia erudizione,
ricordiamo il
De officiis hominis et civis iuxta legem naturalem (1673)
ed
Eris Scandica (1686). Numerose furono anche le opere pubblicate
postume, tra cui:
De habitu christianae religionis ad vitam civilem
(1687), in cui rivendica la supremazia dello Stato sulla Chiesa e la
libertà di coscienza,
De rebus gestis Federici Wilhelmi Electoris
Brandeburgici (1695),
De rebus gestis Caroli Gustavi Sueciae regis
(1695) (Chemnitz, Sassonia 1632 - Berlino 1694).